Con sentenza del 10 settembre 2020, la prima sezione della Corte Edu ha condannato – all’ unanimità – l’Italia per aver violato l’art. 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione, in combinato disposto con l’art. 2 (diritto all’ istruzione) del Protocollo addizionale.
La causa G.L. c. Italia nasce dal ricorso di una minore, con autismo non verbale, nata nel 2004, la quale denuncia la mancanza di sostegno scolastico nei primi due anni della scuola primaria, dal 2010 al 2012, e dunque l’inottemperanza dello Stato all’ obbligazione positiva di garantire pari opportunità alle persone con disabilità. Nel 2007, dal suo ingresso nella scuola dell’infanzia, la ricorrente beneficiava di un insegnante di sostegno e di un’assistenza specializzata, in conformità della legge n. 104/1992, per ventiquattro ore a settimana, al fine di favorire l’inclusione, la socializzazione e la sua autonomia. Tuttavia, tale assistenza fu interrotta durante il primo anno di scuola primaria e i genitori della ricorrente domandarono a più riprese al Comune di Eboli la sua prosecuzione, senza ottenere alcuna risposta da parte dell’amministrazione. I genitori dunque pagarono privatamente un’assistenza specializzata per garantire alla figlia l’accompagnamento scolastico e, due mesi più tardi, l’amministrazione comunale comunicò loro l’impossibilità di ripristinare un’assistenza specializzata pubblica. Nel maggio 2012, i genitori di G.L. fecero ricorso al Tar, chiedendo la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni per non aver garantito alla minore il diritto all’ assistenza specializzata, previsto dalla legge. Ricorso rigettato sia in primo grado, sia in secondo grado dal Consiglio di Stato.
Ricordando anzitutto che lo Stato – in materia di diritto all’ istruzione – ha il dovere di operare un bilanciamento tra i bisogni educativi e la sua capacità limitata a rispondervi, la Corte evidenzia che il principio di uguaglianza sostanziale richiede che lo Stato riservi un trattamento differenziato ad alcuni gruppi «per correggere diseguaglianze fattuali» (§ 52), e ciò è garantito ad esempio dall’educazione inclusiva, «che mira a promuovere le pari opportunità, soprattutto per le persone con disabilità» (§ 53).
La Corte di Strasburgo riconosce inoltre che il sistema giuridico italiano garantisce un’educazione inclusiva, tutelando anche il diritto all’istruzione in caso di disabilità. I minori con disabilità infatti sono collocati nelle classi ordinarie della scuola pubblica e lo Stato ha predisposto servizi psicopedagogici che assicurino la presenza di un insegnante di sostegno in classe, che coordina le azioni degli assistenti e che collabora con l’insegnante della classe, in regime di corresponsabilità.
La mancanza di un’assistenza speciale nel caso di specie è stata giustificata dal Governo allegando la carenza di risorse economiche. La Corte tuttavia, osservando che la minore non ha beneficiato per due anni dell’assistenza necessaria, riconosce che vi è stata una differenza di trattamento – non potendo più frequentare la scuola a parità di condizioni rispetto ai compagni – differenza fondata sulla disabilità.
Sul profilo procedurale, i giudici di Strasburgo rilevano che le giurisdizioni amministrative non hanno indagato sulla diligenza delle autorità interne – ad esempio, se queste abbiano o meno operato un giusto equilibrio tra i vari interessi in gioco, e soprattutto se vi sia stata una verifica sull’impatto delle restrizioni economiche, vale a dire se queste abbiano avuto uguali conseguenze sull’offerta formativa di tutti i minori, con e senza disabilità. Secondo la Corte, tali restrizioni economiche infatti avrebbero dovuto influire nello stesso modo su tutti gli studenti.
Ricordando l’art. 15 della Carta sociale europea [1], sottoscritta dagli Stati, i giudici della prima sezione affermano che la minore avrebbe dovuto beneficiare di un’assistenza specializzata, volta a favorire la sua autonomia e comunicazione, nonché a migliorare l’apprendimento, la vita sociale e l’integrazione scolastica, per allontanare il rischio dell’emarginazione.
Sulla base di queste valutazioni, la Corte conclude che le autorità non hanno agito con la «diligenza necessaria a garantire alla ricorrente il godimento del suo diritto in condizioni di pari opportunità rispetto ai compagni, in modo da operare un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti» (§ 72). Ad aggravare la violazione, il fatto che l’assenza del sostegno scolastico si sia verificata nell’ambito dell’educazione primaria.
[1] Art. 15 n. 5, Carta sociale europea: «le Parti si impegnano […] a favorire la loro completa integrazione e partecipazione alla vita sociale mediante misure, compresi i presidi tecnici, volte a sormontare gli ostacoli alla comunicazione ed alla mobilità ed a consentire loro di avere accesso ai trasporti, all’abitazione, alle attività culturali e del tempo libero».
15/09/2020